Emozioni negate, coscienza alterata: la rabbia come chiave per comprendere la dissociazione
La dissociazione è un fenomeno psicologico correlato generalmente ai traumi, allo stress estremo o ad esperienze infantili dolorose. Ma c’è un’emozione in particolare che agisce come detonatore silenzioso di molti stati dissociativi: la rabbia.
Quando non viene accolta, riconosciuta o espressa in modo sano, può trasformarsi in una forza sotterranea che disconnette la persona da sé stessa e dal momento presente.
Cosa leggerai nell'articolo:
Dissociarsi per sopravvivere alla rabbia
Molte persone, soprattutto se cresciute in ambienti disfunzionali o invalidanti, hanno imparato che la rabbia è pericolosa, inaccettabile o persino “sbagliata”. Così, per non essere rifiutate, punite o abbandonate, hanno sviluppato un meccanismo inconscio di soppressione: dissociarsi.
La dissociazione può manifestarsi come:
- senso di irrealtà o di vivere in un sogno
- corpo che sembra non appartenere più a sé
- vuoti di memoria
- improvvisi cambi di umore o stato cosciente.
In molti casi, questi stati si attivano proprio quando la rabbia sta per emergere. È come se il sistema nervoso tirasse il freno a mano per evitare di “sentire troppo”.
Rabbia repressa e trauma: il terreno della dissociazione
Uno studio pubblicato sul Journal of Traumatic Stress (Lanius et al., 2010) ha evidenziato come nei soggetti con disturbo da stress post-traumatico complesso, gli stimoli legati alla rabbia attivano in modo anomalo il circuito limbico (sede delle emozioni primarie) e riducono l’attività della corteccia prefrontale, responsabile della coscienza e dell’autocontrollo. Questo squilibrio neurobiologico favorisce episodi dissociativi anche in risposta a emozioni moderate.
Un altro studio (D’Andrea, Ford, Stolbach et al., 2012) mostra che nei pazienti con una storia di abusi o trascuratezza, la rabbia è spesso disconnessa dalla coscienza: viene vissuta a livello corporeo o agita impulsivamente, senza passare dalla consapevolezza. Questo tipo di “rabbia dissociata” è tra i predittori più forti della dissociazione cronica.
Il ruolo dell’amigdala: la rabbia come segnale di minaccia
Dal punto di vista neuropsicologico, l’amigdala gioca un ruolo cruciale nella relazione tra rabbia e dissociazione. L’amigdala è una struttura del cervello limbico, specializzata nel rilevare le minacce e nell’attivare risposte emotive rapide come la paura o la collera.
Quando percepisce un pericolo (anche simbolico o emotivo), l’amigdala si attiva in pochi millisecondi, innescando una reazione di allarme nel sistema nervoso autonomo. Tuttavia, nei soggetti con una storia di trauma non elaborato, questa risposta può essere iperattiva e disorganizzata.
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Il risultato? L’amigdala “grida pericolo” ogni volta che la rabbia si affaccia, e il cervello, per proteggersi, scollega la coscienza. È come se la mente dicesse: “Meglio non sentire, meglio non esserci.”
Nel lungo termine, questa dinamica contribuisce a sviluppare stati dissociativi ogni volta che il corpo o la psiche percepiscono emozioni forti, soprattutto se associate a esperienze passate di impotenza o paura.
Dissociarsi dalla rabbia o da sé stessi?
La rabbia è una delle emozioni più potenti e arcaiche. Ha la funzione biologica di proteggerci dai pericoli, di porre confini, di affermare la nostra esistenza. Ma se questa energia viene bloccata, l’organismo non sa più dove indirizzarla.
Così può accadere che:
- Ci si senta improvvisamente “distaccati”, “ovattati”, “non presenti”.
- Si perda la connessione con il corpo, con le emozioni, persino con il tempo.
- Si agisca in automatico, come se un’altra parte di noi prendesse il controllo.
È la mente che tenta di proteggersi da qualcosa che giudica troppo pericoloso da sentire.
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In questo caso, il vero pericolo non è più l’evento, ma la rabbia che abbiamo dovuto nascondere per sopravvivere.
Dalla dissociazione al ritorno a sé: accogliere la rabbia
La buona notizia è che la dissociazione non è una condanna, ma una strategia di sopravvivenza che può essere trasformata.
Gli esperti suggeriscono alcuni strumenti utili per affrontarla:
- Riconoscere la rabbia senza giudicarla. Scrivere cosa si prova, anche quando sembra “esagerato”.
- Usare il corpo. Ballare, correre, urlare in un cuscino, dare spazio all’energia compressa.
- Fare grounding. Tecniche come camminare a piedi nudi, toccare oggetti reali, sentire i suoni sono molto efficaci.
- Lavorare con un terapeuta esperto nei traumi per integrare la rabbia e tornare a sentire in modo sicuro. La Terapia Cognitivo Comportamentale (TCC) è una tra le metodiche più adottate per superare i traumi subiti, i trigger negativi e ancorarsi al presente, vivendolo con pienezza senza ansia e sensazioni di allerta costanti.
La rabbia non è il nemico. Il vero nemico è la negazione del proprio sentire. Quando si impara ad ascoltarla, la rabbia diventa bussola, confine, voce. E solo allora è possibile smettere di dissociarsi e iniziare davvero a tornare a casa: dentro sé stessi.

Sono la CEO di Controsenso, Impresa operante nel Digital Marketing, nel giornalismo e nella comunicazione strategica. Dirigo un team di esperti che supporta P.M.I. e privati, aiutandoli a promuovere i propri progetti online e offline.