Quando la mente cerca di proteggerci, la memoria diventa selettiva: un viaggio tra Neuroscienze e Psicologia del trauma
La memoria non è solo un archivio passivo dei nostri ricordi: è un processo attivo, selettivo, fluido. Ogni giorno costruiamo e ricostruiamo il nostro passato attraverso ciò che decidiamo (o possiamo) ricordare. Ma cosa accade quando il dolore, i dispiaceri profondi o i traumi violenti interrompono questo flusso? È qui che la memoria si trasforma in un meccanismo di difesa, selezionando cosa conservare e cosa espellere dalla coscienza per proteggerci da un sovraccarico emotivo. In questi casi, il cervello può generare amnesie parziali o totali, che non sono un “difetto” del sistema, ma una risposta biologica di sopravvivenza.
Cosa leggerai nell'articolo:
Trauma e dissociazione: il cervello sotto shock
Quando viviamo un’esperienza traumatica, il nostro cervello attiva una risposta d’emergenza. L’amigdala, sentinella delle emozioni, invia segnali che attivano il sistema simpatico, preparando il corpo alla fuga o al combattimento. Tuttavia, se il pericolo è percepito come ingestibile o ineluttabile, entra in gioco un altro meccanismo: la dissociazione. In questo stato, la mente si scollega parzialmente o totalmente dall’esperienza, riducendo la percezione del dolore emotivo e talvolta anche fisico. La dissociazione può interferire con il consolidamento della memoria, impedendo che l’evento venga archiviato normalmente nell’ippocampo.
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Uno studio condotto dalla dottoressa Ruth Lanius, neuroscienziata e psichiatra dell’Università dell’Ontario Occidentale, ha mostrato che le persone con disturbo da stress post-traumatico (PTSD) presentano una ridotta connettività tra l’ippocampo e la corteccia prefrontale mediale, due aree chiave nel recupero dei ricordi autobiografici. Questo suggerisce che il trauma può letteralmente “spezzare” i collegamenti neurali che permettono di accedere a determinate memorie, lasciando dei vuoti nella narrazione personale.
Amnesie emotive: quando il cuore rimuove ciò che la mente non riesce a sopportare
Non tutte le amnesie legate al dolore hanno a che fare con eventi eclatanti o traumatismi evidenti. Spesso, anche dispiaceri silenziosi e continui — come la trascuratezza emotiva, le umiliazioni ripetute o la solitudine cronica — possono generare forme sottili di rimozione. In questi casi, la mente può iniziare a “svuotare” ricordi scomodi, sfumando i contorni delle esperienze o rimuovendo del tutto le emozioni ad esse associate. La persona può ricordare i fatti, ma senza alcuna risonanza emotiva. Oppure, al contrario, può percepire un dolore indefinito, una nostalgia priva di contesto, come se qualcosa fosse accaduto ma non fosse più accessibile.
Questa forma di amnesia emotiva è particolarmente comune nelle persone cresciute in ambienti disfunzionali o affettivamente carenti. Il cervello impara, fin da piccolo, che ricordare fa troppo male. E quindi dimentica. Non per scelta, ma per necessità.
Il corpo ricorda, anche quando la mente dimentica
Un aspetto affascinante e inquietante della psicologia del trauma è che, spesso, il corpo continua a ricordare ciò che la coscienza ha rimosso. Sintomi psicosomatici, flashback corporei, sogni ricorrenti o reazioni spropositate a stimoli apparentemente neutri possono essere tutti segnali di memorie “nascoste” che cercano una via per emergere. In questo senso, il lavoro terapeutico diventa un percorso di riconnessione: tra ciò che è stato vissuto e ciò che è stato ricordato, tra il corpo che ha sofferto e la mente che ha dimenticato.
Il ritorno del rimosso: guarigione o destabilizzazione?
Le amnesie legate al dolore non sono sempre permanenti. In alcuni casi, ricordi sepolti possono riemergere, spontaneamente o grazie a un percorso terapeutico. Ma il ritorno del rimosso può essere destabilizzante. Quando la mente è costretta a fare i conti con ciò che aveva messo da parte, può riattivarsi un forte dolore psichico. Per questo motivo, l’emersione dei ricordi deve essere accompagnata da un contesto sicuro e contenitivo, dove la persona possa essere accolta e sostenuta.
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Comprendere che l’oblio può essere stato una forma d’amore per sé stessi — un tentativo estremo di protezione — aiuta a non giudicare la propria amnesia come una debolezza, ma come una forma di forza silenziosa. La mente umana è molto più saggia di quanto pensiamo: a volte, per sopravvivere, sa che dimenticare è l’unico modo per continuare a sopravvivere.
Box di aprofondimento 1 – Il legame tra trigger, dissociazione e amnesia
I trigger sono stimoli, spesso apparentemente innocui, che riattivano nel corpo e nella mente una sensazione collegata a un’esperienza traumatica passata. Possono essere odori, suoni, frasi, luoghi, volti o persino gesti.
Non è il contenuto oggettivo dello stimolo a renderlo destabilizzante, ma l’associazione inconscia che la persona ha con quell’elemento: è come se il cervello, improvvisamente, credesse di essere di nuovo nel pericolo originario.
Quando un trigger si attiva, il sistema nervoso può reagire come se l’evento traumatico stesse accadendo nel presente. In questi momenti, molte persone sperimentano stati di dissociazione: perdono il senso del tempo, sentono il corpo distante, si “spengono” emotivamente o entrano in uno stato di confusione mentale. È una reazione automatica, una modalità di protezione che cerca di impedire il riemergere del dolore originario.
Se i trigger sono frequenti o molto intensi, il cervello può “decidere” — ancora una volta — di cancellare o sfumare alcuni ricordi, dando vita a nuove amnesie dissociative. In questo modo, la memoria viene rimodellata per evitare il rischio di essere costantemente esposta a una minaccia emotiva percepita come insostenibile.
In sintesi, i trigger sono come interruttori che riaccendono le ferite ancora aperte. E se la mente non è pronta a gestirle, torna a fare ciò che ha imparato: scollegarsi, dimenticare, sopravvivere.
Box di approfondimento 2 – Le amnesie e gli stati dissociativi possono perdurare anche per mesi?
Sì, sia le amnesie dissociative che gli stati dissociativi possono protrarsi per settimane, mesi o persino anni. Non si tratta di condizioni rare o “estreme”, ma di risposte profonde e complesse del sistema nervoso a esperienze percepite come ingestibili.
Nel caso dell’amnesia dissociativa, la persona può dimenticare eventi specifici, interi periodi della propria vita o persino la propria identità (nei casi più gravi, come nell’amnesia generalizzata). La mente mette in atto un blackout selettivo per evitare che il ricordo traumatico emerga, e questo meccanismo può rimanere attivo finché il sistema non percepisce una condizione di maggiore sicurezza psicologica.
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Anche lo stato dissociativo, che può includere derealizzazione (il mondo sembra irreale), depersonalizzazione (ci si sente estranei a sé stessi), vuoti di memoria e senso di distacco emotivo, può persistere a lungo. In alcuni individui, può diventare una condizione quasi quotidiana, una forma di sopravvivenza mentale che si cronicizza nel tempo.
La durata di questi fenomeni dipende da molti fattori: l’intensità del trauma, il supporto ricevuto, la presenza di nuovi stress, e la storia personale del soggetto. In ogni caso, è essenziale sottolineare che non sono segni di debolezza, ma strategie estreme di adattamento. Con il giusto accompagnamento terapeutico, anche i vuoti più lunghi possono essere integrati con dolcezza e gradualità, riportando alla luce non solo i ricordi, ma soprattutto la connessione con sé stessi.

Sono la CEO di Controsenso, Impresa operante nel Digital Marketing, nel giornalismo e nella comunicazione strategica. Dirigo un team di esperti che supporta P.M.I. e privati, aiutandoli a promuovere i propri progetti online e offline.