Come sopravvivono gli alpinisti in condizioni estreme?
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Come sopravvivono gli alpinisti in condizioni estreme?

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Strategie fisiche, psicologiche e tecniche per affrontare l’alta quota e il gelo della solitudine

Sfidare l’ignoto, salire sempre più in alto, dove l’aria si fa sottile e ogni passo costa fatica: l’Alpinismo estremo non è solo un’impresa fisica, ma anche una battaglia psicologica e spirituale. Gli alpinisti che affrontano le vette più dure del Pianeta, come l’Everest o il K2, non si limitano a sopravvivere: sviluppano una forma di adattamento totale, che coinvolge corpo, mente e spirito.

Uno degli aspetti più critici da affrontare in alta quota è l’ipossia, cioè la carenza di ossigeno. A partire dai 3.000 metri sul livello del mare, l’organismo umano comincia a rallentare i processi vitali per conservare energia. Cuore e polmoni lavorano a ritmi elevati, ma non basta: bisogna acclimatarsi, cioè abituarsi gradualmente all’altitudine per evitare l’edema polmonare o cerebrale, che può risultare fatale.

L’acclimatazione richiede giorni, a volte settimane, e prevede l’ascesa lenta con ritorno a quote più basse per dormire. “Climb high, sleep low”, è il mantra degli alpinisti, come ricorda il medico di montagna Peter Hackett dell’Institute for Altitude Medicine.

Come si alimentano gli alpinisti

L’alpinista non combatte solo contro il freddo e la rarefazione dell’ossigeno. Deve fare i conti anche con fame, disidratazione e fatica cronica. Il corpo brucia enormi quantità di calorie – fino a 6.000-8.000 al giorno – e spesso il senso di appetito scompare. Alcuni si nutrono con cibi altamente calorici, altri addirittura si forzano a mangiare, come racconta Reinhold Messner nei suoi diari di spedizione.

L’idratazione è altrettanto cruciale: fondere la neve richiede tempo, carburante e pazienza, e a volte le risorse sono scarse. Una disidratazione anche minima può compromettere lucidità e coordinazione, rendendo ogni decisione rischiosa.

Come si proteggono dal freddo estremo in montagna

Il freddo estremo è un altro nemico potenzialmente letale. A quote superiori ai 7.000 metri, le temperature possono scendere sotto i -30°C. In queste condizioni, l’abbigliamento tecnico diventa un’armatura: più strati sovrapposti, tessuti traspiranti ma isolanti, guanti riscaldati e scarponi dotati di sistemi antifreddo. La tecnologia moderna ha reso l’Alpinismo più sicuro, ma il margine di errore resta minimo.

Ogni parte del corpo esposta rischia il congelamento in pochi minuti. I materiali devono essere ultraleggeri ma altamente performanti. L’abbigliamento viene testato in condizioni estreme ben prima della spedizione, perché nulla può essere lasciato al caso.

La forza mentale degli alpinisti: come affrontano la solitudine e la paura

L’aspetto mentale è forse il più complesso. Restare lucidi quando si è stanchi, congelati e isolati richiede una forza interiore che si costruisce nel tempo. L’alpinista sviluppa strategie psicologiche per affrontare la solitudine, il pericolo e la paura. Alcuni si concentrano sul respiro, altri si parlano da soli, altri ancora si affidano a rituali o forme di meditazione.

La resilienza mentale diventa fondamentale, come dimostrano anche le ricerche della psicologa Eva-Maria Rathner, che ha studiato per anni le reazioni cognitive degli alpinisti in situazioni di stress estremo. L’equilibrio psicologico può salvare la vita tanto quanto una corda ben fissata.

L’importanza del gruppo e delle decisioni strategiche

L’Alpinismo estremo non è solo una sfida individuale: è anche un esercizio di fiducia reciproca. In cordata, la vita dell’uno dipende dall’altro. Ogni scelta può essere decisiva: continuare o tornare indietro, fermarsi o andare avanti. Anche chi scala in solitaria sa che la preparazione precedente, l’esperienza e i contatti con la base possono fare la differenza tra la sopravvivenza e il disastro.

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Come scrive Jon Krakauer nel suo celebre Aria sottile, “in cima alla montagna non c’è niente, solo quello che ti sei portato dentro”. E a volte, quello che ci si è portati dentro è proprio ciò che permette di tornare a casa.

Box di approfondimento – Aria sottile di Jon Krakauer: il racconto in prima persona della tragedia sull’Everest

Aria sottile (Into Thin Air) è il celebre saggio di Jon Krakauer pubblicato nel 1997, testimonianza diretta della tragica spedizione sull’Everest del maggio 1996. L’autore, giornalista e alpinista non professionista, prese parte a una delle cinque spedizioni che quel giorno tentarono la vetta, trovandosi coinvolto in una tempesta improvvisa a oltre 8.000 metri. Otto persone morirono e molti altri rischiarono la vita nella cosiddetta Death Zone.

Il libro ripercorre con lucidità e dolore le dinamiche complesse, le decisioni fatali e l’impatto umano di uno degli incidenti più drammatici della storia dell’Alpinismo. Il racconto suscitò forti reazioni, tra cui le critiche della guida russa Anatolij Bukreev, successivamente scomparso sull’Annapurna. Un documento intenso, personale e controverso che ha segnato la narrativa di montagna.

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