Riflessioni speculative su come due giganti del pensiero classico si relazionerebbero con la tecnologia del momento
Cosa succederebbe se potessimo viaggiare indietro nel tempo e mettere l’Intelligenza Artificiale nelle mani di due dei più grandi filosofi dell’antichità? Come reagirebbero Aristotele e Platone di fronte a un’entità capace di apprendere, elaborare e persino “ragionare” come un essere umano?
Aristotele: l’Intelligenza Artificiale come estensione del logos umano
Aristotele, più empirico e sistematico, si sarebbe probabilmente interessato all’Intelligenza Artificiale come prolungamento del logos, la razionalità ordinatrice del mondo. Con il suo approccio classificatorio e metodico, avrebbe potuto vedere l’IA come un potente strumento per organizzare la conoscenza, dedurre inferenze e creare modelli del reale.
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Nella Retorica e nella Poetica, Aristotele teorizzava già sulla struttura dei discorsi e delle narrazioni: immaginarlo mentre utilizza un algoritmo per analizzare migliaia di testi e scoprire nuove forme di espressione non è affatto utopico. E nell’Etica Nicomachea, avrebbe potuto interrogarsi sulla moralità delle scelte automatizzate, esplorando la possibilità di una virtù algoritmica.
È plausibile che Aristotele avrebbe contribuito a costruire un’etica dell’IA, basata sull’equilibrio tra potenza e atto, tra possibilità tecnica e giustezza dell’uso.
Platone: l’Intelligenza Artificiale come strumento per il Mondo delle Idee
Per Platone, la realtà sensibile era solo una copia imperfetta del Mondo delle Idee, un regno immutabile dove risiedono le forme perfette e assolute. È lecito supporre che Platone avrebbe visto nell’Intelligenza Artificiale una possibile alleata nella ricerca della verità ideale. Non tanto uno strumento pratico, quanto una via per affinare il pensiero astratto.
Per il filosofo, un assistente digitale capace di analizzare concetti, riconoscere schemi e proporre inferenze logiche avrebbe potuto rappresentare una sorta di “maieutica algoritmica”: una nuova forma di dialogo socratico, capace di aiutare l’anima a ricordare le verità già insite in sé stessa.
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Tuttavia, Platone avrebbe probabilmente messo in guardia dai pericoli dell’illusione. Come nel mito della caverna, l’IA sarebbe potuta diventare un altro tipo di ombra proiettata sul muro: una conoscenza solo apparente, scambiata per verità.
Due visioni, una domanda
Pur partendo da presupposti diversi, Aristotele e Platone avrebbero probabilmente riconosciuto nella tecnologia dell’Intelligenza Artificiale uno specchio della condizione umana. L’IA, con la sua ambiguità, ci costringe a interrogarci su cosa significhi conoscere, agire e perfino essere.
Per Platone, avrebbe potuto rappresentare una chiave per ascendere verso il Vero, ma anche un pericolo se mal interpretata. Per Aristotele, un’arma potentissima nelle mani di menti capaci di utilizzarla con saggezza.
Se proiettate nella contemporaneità, le riflessioni dei due saggi ci ricorderebbero che la vera questione non è cosa può fare l’Intelligenza Artificiale, ma chi stiamo diventando nel momento in cui scegliamo di usarla.

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