Torna la festa di San Francesco
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Dal 2026 torna la Festa di San Francesco: radici profonde e orizzonti spirituali

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Un giorno che torna a essere festa nazionale, ma che porta con sé la sfida di trasformare il ricordo in pratica viva

Il Senato ha dato il via libera definitivo: dal 2026 in Italia tornerà la festa nazionale di San Francesco, il 4 ottobre – giornata in cui si commemora la morte del “poverello” d’Assisi. Un segnale che va oltre la politica, e che richiama interrogativi sull’identità collettiva, sulla memoria religiosa e sul valore simbolico di un santo che è – da otto secoli – un punto di riferimento per le coscienze.

Ma cosa significa davvero riportare in vita una festa nazionale alla memoria di un santo come Francesco? E quali responsabilità morali e culturali ne derivano?

San Francesco come archetipo spirituale

San Francesco d’Assisi è figura carismatica e poliedrica: uomo di radicale povertà, costruttore di ponti (anche con l’Islam), cantore della natura, profeta della fraternità universale. La sua biografia è una continua tensione tra il mistico e il concreto, tra l’irriducibile radicalismo evangelico e l’attenzione verso i poveri.

Ristabilire una festa civile a suo nome non significa solo onorare un patrono: significa riconoscere che la spiritualità (anche laica o interconfessionale) non è residuo di un passato superato, ma è sorgente di pratiche pubbliche possibili. La festa diventa “momento civile sacro”, dove la comunità nazionale può ritrovarsi attorno a valori trasversali: semplicità, cura della creazione, umiltà, amore verso gli ultimi.

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Il ritorno della festa richiama la dimensione profetica di Francesco: “riconoscere il creato come scuola e segno” e “abitare la terra con mansuetudine”, secondo l’ermeneutica francescana. Come comunità civile, il nostro compito potrebbe essere quello di non lasciare che la celebrazione sia vuota ritualità, ma occasione di rigenerazione etica.

Memoria condivisa e coesione nazionale

Il 4 ottobre torna anche come giorno “laico” oltre che religioso: lo Stato riconosce una festa nazionale. Questo gesto attraversa il confine tra il sacro e il civile. In un’epoca in cui le ragioni del divino sembrano confinare al privato, questa restituzione simbolica apre uno spazio pubblico per una memoria condivisa.

La sfida consiste nel fare in modo che la festa non resti pura enunciazione simbolica: come ha ricordato chi ha criticato questa decisione, se non accompagnata da scelte reali (ambientali, sociali, dialogo con le fragilità) rischia di apparire un’operazione retorica. Ma è anche vero che la memoria condivisa – se nutrita – crea tradizione sana e identità.

In un’Italia frammentata, il richiamo a figure spirituali come Francesco – che attraversano divisioni religiose, politiche e sociali – offre un punto di riferimento capace di evocare l’unità nel pluralismo.

Il simbolo contro il vuoto

Ogni simbolo rischia di rimanere vuoto se non viene animato da pratiche quotidiane. Il ritorno della festa di San Francesco non può ridursi a una medaglia da esibire. Deve tradursi in azioni concrete e coerenti: politiche ambientali credibili, attenzione reale verso i poveri e gli esclusi, percorsi educativi che facciano conoscere non solo la figura idealizzata del santo, ma la profondità del suo messaggio.

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Anche le celebrazioni dovrebbero diventare momenti partecipati e vivi, capaci di includere la dimensione interreligiosa e interculturale, proprio come Francesco fece incontrando il sultano Malik al-Kamil. Solo così la festa non resterà un contenitore formale, ma potrà trasformarsi in semina e rigenerazione.

Tra passato e orizzonte: oltre la cesura del ’77

La festa nazionale era stata soppressa nel 1977, in un’epoca segnata da conflitti interni e fermenti ideologici. Restaurarla oggi significa elaborare quella cesura e affermare che non tutto ciò che è religioso è reazione al politico, ma che religione e spiritualità possono essere fattori generativi di cultura civica e creativa.

Nel tempo in cui il secolo XXI sembra accelerare verso la tecnocrazia, il consumismo e l’efficienza, ritorna il richiamo a ciò che è lento, profondo, silenzioso. Il poverello d’Assisi ci indica un’altra frequenza – quella della gratuità, dell’ascolto, della conversione quotidiana.

La festa di San Francesco come invito

Più che una occasione da celebrare, il “ritorno della Festa nazionale di San Francesco” può essere pensato come un invito: a tornare sulle tracce di un pensiero che non teme di contaminarsi con la realtà, a rimettere in dialogo il sacro e il profano, a rigenerare le pratiche della fraternità.

Se la memoria rimane viva, se le relazioni concrete fioriscono, la festa potrà essere più di un giorno nel calendario: sarà ora culturale, scossa spirituale, gesto politico. Un seme che chiede tempo, passione e cura.

[Cover Image: San Francesco e Santa Chiara]

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