Quando correre non basta, ma serve orientarsi
L’Orienteering – detto anche “corsa di orientamento” – affonda le sue radici nei paesi scandinavi del XIX secolo. In Svezia, il termine Orientering venne coniato per descrivere esercizi di navigazione su terreno sconosciuto con l’ausilio di mappa e bussola.
La prima gara civile documentata risale al 1897 in Norvegia, e da allora il fenomeno sportivo si è diffuso, evolvendosi da esercizio militare a disciplina agonistica riconosciuta.
In Italia la corsa di orientamento fece la sua comparsa importante soltanto negli anni Sessanta, con la prima gara ufficiale che si tenne nel 1967.
Oggi l’Orienteering è disciplinato in Italia dalla Federazione Italiana Sport Orientamento (FISO), con migliaia di praticanti distribuiti su decine di società.
Cosa leggerai nell'articolo:
Cos’è l’Orienteering: corpo, mente e strategia
A prima vista, somiglia a una gara di corsa campestre, ma l’Orienteering è ben altro: è una corsa in cui ogni partecipante riceve una mappa topografica dettagliata al momento dello start e deve raggiungere una serie di punti di controllo (le “lanterne”) nell’ordine stabilito, scegliendo su quale percorso muoversi. Chi completa tutti i controlli in tempo minore vince.
Le mappe sono progettate con simbologie precise e internazionali: curve di livello, zone di vegetazione, ostacoli naturali e passaggi difficili sono rappresentati con codici cromatici e simboli convenuti.
I punti di controllo (lanterne) sono segnati da prismi arancione-bianchi e dotati di punzone o chip elettronico per certificare il passaggio. Il sistema elettronico è ormai adottato da molte gare importanti.
Il valore aggiunto sta nella tensione continua fra velocità e scelta strategica: un percorso più diretto può sembrare il più breve, ma se attraversa terreni complicati può costare tempo. A volte è preferibile percorrere un tratto più lungo ma più agevole.
Le varianti: non solo corsa nei boschi
La forma più nota è la corsa orientamento (Foot-O), ma l’Orienteering si è ramificato in versioni che permettono la sperimentazione su altri mezzi o condizioni: Mountain Bike Orienteering (MTB-O), Orienteering su sci (Ski-O) e Orientamento di precisione (Trail-O) per partecipanti con disabilità.
In città si pratica l’Urban Orienteering (o “street-O”), con mappe specifiche e controlli posti lungo vie, parchi e spazi urbani: questo formato ha guadagnato slancio negli ultimi decenni e viene inserito in circuiti competitivi.
In Italia, FISO considera la corsa di orientamento come “regina” tra le discipline, con le altre versioni complementari.
L’Italia che corre e si orienta
Nel Bel Paese l’Orienteering è cresciuto, sia come fenomeno agonistico sia come attività ricreativa. Oggi registra circa 9.000 tesserati in circa 170 società.
Con le sue specialità – corsa, MTB, sci e orientamento di precisione – l’Italia ha già vinto medaglie mondiali, totalizzando, in queste discipline combinate, più ori, argenti e bronzi.
Un nome che emerge è quello di Francesco Mariani, atleta azzurro della Nazionale di Orienteering: vincitore di un oro nel World Junior Sprint (2021) e primo italiano a conquistare traguardi internazionali in questa disciplina.
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La visibilità dello sport cresce anche grazie a eventi internazionali e ai progetti nelle scuole, dove l’Orienteering è impiegato come strumento educativo per sviluppare orientamento spaziale, memoria e capacità decisionali.
L’esperienza sul campo
Partecipare a una gara di Orienteering significa immergersi in un paesaggio – boschi, colline, aree rurali – osservando ogni dettaglio intorno e decidendo a ogni bivio quale strada imboccare. L’allenamento non è solo fisico: è anche mentale, perché la capacità di leggere velocemente una mappa sotto la pressione del tempo fa la differenza.
Nelle gare di livello internazionale, si verificano fenomeni interessanti come il “pack formation”, ovvero l’aggregarsi di corridori che, correndo insieme, condividono traiettorie e minimizzano gli errori di navigazione. Questo comporta un vantaggio statistico non solo per la velocità ma anche per la coerenza nel percorso.
A livello teorico, il problema dell’Orienteering è anche studiato in ambito matematico e algoritmico: un concorrente deve decidere quali punti di controllo visitare e in che ordine per massimizzare l’efficienza del percorso, in condizioni di vincoli temporali. Questa formulazione è nota come “Orienteering Problem” nella ricerca operativa.
Sfide, benefici e prospettive dell’Orienteering
Lo sport offre grandi benefici: migliora la resistenza fisica, allena la capacità di orientarsi e prendere decisioni rapide e accresce l’interazione con l’ambiente naturale. È un’arte che fonde sinergicamente mente e corpo, trasformando ogni gara in una piccola esplorazione.
Ma ci sono ostacoli: l’Orienteering è ancora uno sport di nicchia in molti Paesi, e spesso manca visibilità rispetto a discipline più mainstream. Promuoverlo richiede investimenti in infrastrutture (mappe di qualità, tracciatura) e in cultura sportiva.
Guardando al futuro, la diffusione nei contesti scolastici, il coinvolgimento come attività di Team Building e la crescente attenzione all’outdoor potrebbero spingere l’orienteering verso una dimensione più riconosciuta. In Italia come altrove, l’equilibrio fra tecnica, ambiente e sport potrebbe fare la differenza per far emergere questa disciplina.

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