Galateo dei mezzi pubblici
Attualità - Lifestyle

Galateo dei mezzi pubblici: i piedi restano a terra anche quando sei stanco o annoiato

Tempo di lettura: 3 minuti

Un piccolo gesto che macchia il senso civico: perché tenere i piedi lontani dai sedili dei mezzi pubblici non è una questione di pudore, ma di rispetto (e di igiene)

Non è raro vedere, su autobus, tram o metropolitane, un passeggero sprofondato sul sedile con le scarpe rivolte verso l’altro o, peggio, con i piedi appoggiati su sedili vuoti.

All’occhio di molti, è gesto da educanda distratta; per altri, un insulto tacito agli altri viaggiatori, agli operatori del trasporto, alla pulizia stessa del mezzo.

Questa abitudine, apparentemente innocua, convive con chi è troppo stanco, convinto di “non fare male a nessuno”, o persuaso da un ego sanitario (“i miei piedi sono puliti”). Eppure, non si tratta solo di estetica: è una questione di rispetto degli spazi comuni e, sì, anche di igiene.

Il costo dell’indifferenza

Quando qualcuno poggia le scarpe su un sedile, accade qualcosa di più di una semplice infrazione del galateo urbano. I sedili dei veicoli pubblici sono una delle superfici con maggiore contatto umano e accumulo di microbi e batteri. Le pulizie dei mezzi, per quanto diligenti (e richieste quotidianamente), non riescono a prevenire ogni contaminazione.

Inoltre, nei momenti in cui il mezzo è pieno, quel sedile – ora “occupato” dai piedi – non sarà più utilizzabile da chi ne ha bisogno. In un trasporto collettivo dove ogni posto vale, è un atto di prevaricazione nei confronti del prossimo. Le linee guida sull’etichetta dei trasporti – anche da enti pubblici – indicano che non si debbano usare più sedili del dovuto o “disturbare lo spazio altrui” . Appoggiare i piedi su un sedile, in sintesi, è un uso improprio dello spazio condiviso.

Scioperi controllati: il dissenso che non disturba

Infine, implica una sorta di egoismo: “io posso, tu no”. È un gesto che dichiara — anche inconsciamente — che le regole civiche non valgono per chi lo compie.

Educare senza infierire: perché parlarne funziona

Non serve fare il “poliziotto dei beni pubblici”, ma parlare al buon senso (che quasi tutti — si spera — possediamo). In che modo?

Primo: ricordando che il trasporto pubblico è un bene collettivo. È uno spazio condiviso dove tutti – giovani, anziani, lavoratori, studenti – hanno diritto a sedersi con dignità. Se il sedile diventa un “poggiapiedi” personale, si viola questo patto implicito.

Secondo: facendo capire che il mancato rispetto (anche di un gesto piccolo) erode il senso civico collettivo. Se ciascuno pensa “tanto non cambia niente”, il risultato è un trasporto più sporco, più sgradevole, e meno dignitoso per tutti.

Terzo: suggerendo alternative concrete — senza morale pietistica — come alzarsi quando il veicolo è pieno, tenere le borse sulle ginocchia o tra i piedi, non trattare il sedile come un oggetto domestico.

Quarto: puntando sull’ironia come leva comunicativa. Non serve minacciare mitraglie di moralismo: meglio far sorridere e allo stesso tempo far riflettere (“Sai cosa fanno le scarpe quando salgono sul sedile?”).

Resistenze e obiezioni: non siete soli

Certo, ci sono ragioni — sacrosante — che spingono qualcuno a infilare le gambe sul sedile: stanchezza, poca consapevolezza, o perfino debolezza fisica. Chi arriva stremato da una lunga camminata o da una giornata a lavoro può sentire il bisogno di distendere le gambe. E magari pensa che guai a chi glielo dice.

Però: concedere l’eccezione diventa il precedente. Se tutti “abbassassero la guardia” alla stanchezza, presto ci sarebbero più piedi che passeggeri.

La magia dei piccoli gesti: quando la gentilezza cambia il mondo 

Si aggiunge anche la semplice noncuranza: non aver mai pensato che quel gesto potesse trasferire impurità sulla stoffa, o che si stava “sottraendo” un sedile. L’ignoranza non è scusante a lungo termine, ma può essere leva per cambiare: molti non sanno che dietro a un sedile c’è il lavoro di operatori e addetti, non di maghi pulitori istantanei.

Verso un viaggio migliore: qualche buona pratica

Se vogliamo davvero migliorare il decoro urbano e rendere conviviale il trasporto collettivo, non bastano gli agenti e le sanzioni (che di certo non guastano, se rese necessarie). Serve un cambio culturale: far passare l’idea che il sedile non è un tappeto personale, che i piedi appartengono al pavimento, che l’altrui diritto parte dal rispetto del proprio gesto.

Le autorità del trasporto possono contribuire con campagne educative, affissioni e annunci — in forma divertente e pungolante — che ricordino “Non sei nel tuo salotto: i sedili non sono tavoli per le scarpe”. I passeggeri, a loro volta, possono scegliere l’esempio.

In fin dei conti, viaggiare bene è un piccolo lusso quotidiano: non roviniamolo con un gesto che, tutto sommato, non costa nemmeno un secondo di fatica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *