Quando i giovani si perdono, spesso è perché nessuno ha mostrato loro una direzione in cui credere davvero. Come possiamo aiutarli?
In un’epoca in cui tutto è teoricamente possibile, in cui la tecnologia consente di creare, comunicare e connettersi in modi impensabili fino a pochi anni fa, ci troviamo davanti a un paradosso: sempre più giovani sembrano aver perso la voglia di provarci.
Fanno fatica a immaginare un futuro, si scoraggiano facilmente, sembrano stanchi ancora prima di iniziare. Ma si tratta solo pigrizia? O c’è qualcosa di più profondo che va ascoltato, compreso e riletto con occhi diversi?
Cosa leggerai nell'articolo:
Non mancano le idee, spesso manca la bussola
Chi lavora o vive a contatto con i giovani lo sa: il potenziale non manca. Le idee ci sono, la sensibilità anche. Quello che spesso manca è una direzione, un contesto, un terreno fertile in cui poter far germogliare una visione.
Molti ragazzi, oggi, si sentono come se avessero tra le mani i pezzi di un puzzle, ma senza sapere quale sia l’immagine finale. La sensazione è quella di muoversi nel vuoto, senza coordinate chiare, senza qualcuno che li aiuti a orientarsi davvero.
Una mente sovraccaricata, ma poco allenata a costruire
Siamo nell’era della sovrainformazione. Ogni giorno, i giovani vengono letteralmente inondati da input di ogni tipo: social, video brevi, meme, notifiche, titoli sensazionalistici, influencer che mostrano vite apparentemente perfette e irraggiungibili.
Questa esposizione continua consuma l’attenzione e la lucidità, e porta a una frammentazione mentale profonda. Sanno tante cose, ma in molti casi non riescono a collegarle, a trarne un senso, a costruire una narrazione coerente. In questa confusione, la visione d’insieme si perde, e con essa anche la motivazione ad agire.
Un’educazione che premia la risposta, ma non la domanda
A peggiorare le cose, interviene un sistema educativo che nella maggior parte dei casi non allena il pensiero critico, né stimola la progettualità o l’iniziativa personale.
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La scuola insegna a rispondere, non a chiedere. A memorizzare, non a immaginare e a ragionare. A seguire passivamente, non a proporre. Ma la visione nasce proprio dal pensiero libero, dalla possibilità di fare connessioni nuove, dal diritto a sbagliare e riprovare.
Senza queste componenti cruciali, si cresce imparando a non disturbare, a non esporsi, a non cercare alternative.
Il futuro fa paura, più che ispirare
Oggi il futuro, più che affascinare, spaventa. I giovani sono cresciuti in un mondo segnato da crisi climatiche, pandemie, guerre, precarietà economica ed emotiva.
A volte, interiorizzano l’idea che ogni sforzo possa essere inutile, che tanto non cambierà nulla. È una sfiducia sistemica che spegne l’entusiasmo e l’intraprendenza. Perché investire tempo ed energia, se il mondo sembra andare comunque verso il caos?
L’iperprotezione rende fragili
Un altro fattore spesso trascurato è la tendenza, negli ultimi decenni, a proteggere eccessivamente i figli. Molti ragazzi crescono in ambienti in cui errori, imprevisti, fallimenti sono evitati o corretti immediatamente dagli adulti.
Ma è proprio lì, nelle difficoltà, che si forgia il carattere. Senza l’occasione di affrontare ostacoli da soli, si diventa meno tolleranti alla frustrazione, meno resistenti alla fatica, meno capaci di prendere iniziative autonome.
La cultura del “tutto e subito”
Viviamo in una società dominata dall’immediatezza. Ogni bisogno può (o dovrebbe) essere soddisfatto nel giro di pochi secondi. Un click per comprare, uno swipe per cambiare contenuto, pochi secondi per ricevere una risposta.
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Ma la costruzione di una visione e di un progetto richiede tempo, pazienza, resilienza. Tutte qualità che oggi si stanno lentamente perdendo. Quando i risultati non arrivano subito, ci si sente falliti, inutili, incapaci. E si molla.
Stanchi, ma di cosa?
Una delle lamentele più comuni tra adulti e genitori è: “Mio figlio è sempre stanco”. Ma che tipo di stanchezza è quella che colpisce molti giovani al giorno d’oggi?
Non si tratta solo di stanchezza fisica, ma di qualcosa di più profondo: una fatica mentale, emotiva, esistenziale. Un vuoto. Quando non si intravede uno scopo reale, quando non si sente di appartenere a nulla, quando tutto appare slegato, anche il gesto più semplice può pesare.
Ecco perché non sono solo stanchi di fare, ma di non capire perché dovrebbero fare qualcosa.
Come possiamo intervenire?
La risposta non sta nel giudicare i giovani come pigri o incapaci, ma nel rimettere in discussione gli adulti che li accompagnano.
Dobbiamo costruire ambienti in cui i giovani possano sbocciare, rischiare, partecipare, sentirsi parte. Serve offrire loro fiducia, occasioni vere, sfide alla loro portata. Serve parlare meno di “successo” e più di significato.
5 cose che possiamo fare da subito per aiutare i giovani a ritrovare visione e iniziativa
- Smettere di giudicarli, iniziare ad ascoltarli.
Ogni critica chiude un dialogo. Ogni ascolto lo apre. Mostrare sincero interesse per ciò che provano e pensano è il primo passo per restituire loro valore. - Affidar loro piccoli progetti reali.
Non basta dire “credi in te stesso”: bisogna dargli la possibilità di dimostrare (anche a se stessi) che possono fare la differenza. Piccoli incarichi veri possono generare fiducia concreta. - Mostrare la bellezza dell’impegno, non solo il successo.
La società mostra quasi solo chi “ce l’ha fatta”. Ma è l’impegno quotidiano, anche invisibile, a costruire il mondo. Raccontiamoglielo. - Dare l’esempio con coerenza.
I giovani non ascoltano tanto quello che diciamo, ma osservano ciò che siamo. Un adulto coerente, appassionato, autentico è una guida potentissima. - Coltivare con loro la visione del “possibile”.
Aiutiamoli a immaginare futuri alternativi, a creare soluzioni, a credere che un cambiamento è ancora possibile. Non da soli, ma insieme.

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