Il 4 ottobre 2026 potrebbe tornare la festa nazionale dedicata al Santo Patrono d’Italia. Ma tra identità, costi e diverse sensibilità, la decisione si rivela più di una semplice ricorrenza
Il recente via libera della Camera dei Deputati alla proposta di legge che reintroduce il 4 ottobre come festa nazionale in onore di San Francesco d’Assisi segna una decisione che va ben oltre la semplice aggiunta di una giornata “in rosso” sul calendario.
La norma – ora al vaglio del Senato per l’approvazione definitiva – intende restituire al Patrono d’Italia una visibilità istituzionale che è stata soppressa nel 1977, quando con la legge 54 sono state ridotte le festività civili per ragioni di “produttività”.
Non è un caso che il ritorno della festa nazionale coincida con l’avvicinarsi dell’ottocentenario della morte di Francesco nel 2026: la scelta appare strategica, come un momento atteso per rilanciare il valore pubblico del santo. E non si tratta solo di religione: nelle intenzioni del legislatore, la nuova festività dovrà fungere da “richiamo civico” ai valori della pace, fraternità, solidarietà e tutela dell’ambiente, legando il culto anche a temi di attualità.
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Questa decisione non è scevra di contrasti. Alcuni parlamentari – in particolare da Italia Viva e Azione – hanno sollevato dubbi sull’ammissibilità di istituire un’ulteriore festività, in un momento in cui lo Stato gestisce un bilancio pubblico gravato da vincoli stringenti. Si tratta di un dilemma classico in queste scelte: come bilanciare la dimensione simbolica con le esigenze pragmatiche dello Stato e della società.
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Impatti sul lavoro, oneri finanziari e “giorno extra” in busta paga
L’introduzione della festività nazionale implica una serie di conseguenze operative rilevanti per il mondo del lavoro e per le finanze pubbliche. Dal punto di vista normativo, il 4 ottobre – una volta approvata la legge – sarà equiparato ad altre festività civili: orario festivo nei luoghi di lavoro, divieto di compiere determinati atti giuridici e obblighi retributivi per chi dovesse lavorare.
La relazione tecnica allegata al disegno di legge stima un costo annuo di circa 10,68 milioni di euro a partire dal 2027, di cui quasi 8,8 milioni per il settore sanitario e circa 1,9 milioni per la sicurezza, polizia, forze armate e vigili del fuoco. In sostanza, l’erogazione delle maggiorazioni salariali e il compenso per il lavoro festivo graveranno sui conti pubblici.
Per i lavoratori del settore privato, ciò si tradurrà nella comparsa in busta paga di una giornata festiva retribuita, con eventuali maggiorazioni se dovessero essere chiamati a lavorare.
Nei settori pubblici essenziali si riconosceranno le retribuzioni maggiorate richieste per garantire i servizi anche in giorni festivi. È importante notare che, perché il nuovo giorno festivo inizi a produrre effetti, si dovrà attendere che la ricorrenza non cada di domenica: nel 2026 il 4 ottobre è di domenica, pertanto il nuovo regime partirà di fatto dal 2027.
Questa dimensione pratica – l’aggiunta di un onere concreto – rende più complesso il “rito simbolico” della decisione, e sarà inevitabile che venga posto in rapporto con altre spese pubbliche urgenti. Chi sostiene il ripristino dovrà mostrare che l’investimento simbolico meriti il costo.
Le scuole, l’educazione civica e la dimensione culturale
Uno degli aspetti più interessanti della proposta riguarda il ruolo che viene affidato alle scuole, agli enti pubblici e al Terzo settore. Secondo il testo di legge, questi soggetti avranno la facoltà di “promuovere iniziative, celebrazioni e attività” ispirate alla figura di San Francesco e ai temi della pace, dell’inclusione sociale e della tutela ambientale.
Le istituzioni scolastiche, in particolare, saranno invitate a organizzare momenti didattici, percorsi educativi e riflessioni che utilizzino la figura francescana come “spunto civico”.
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Questo aspetto potrebbe trasformare la festa in un’occasione formativa: non solo celebrazione, ma un’opportunità per coinvolgere le nuove generazioni sui valori impliciti nel culto pubblico del santo. Tuttavia, il testo chiarisce che queste attività dovranno essere realizzate “nell’ambito delle risorse disponibili”, senza che le amministrazioni locali siano gravate da nuovi oneri obbligatori. In questo modo si tenta di contenere la pressione finanziaria sui territori locali pur preservando l’intento educativo.
Non è da escludere che in alcune realtà (in particolare nei piccoli Comuni o nei territori meno dotati) la richiesta di organizzare celebrazioni aggiuntive possa risultare onerosa in termini logistici e risorse: dovranno essere trovati bilanci locali o collaborazioni con le parti sociali, il volontariato o sponsor privati per sostenere gli eventi.
Tensioni culturali, laicità e pluralismo
La proposta non è priva di risvolti simbolici che investono il rapporto tra Chiesa e Stato, la laicità e la pluralità del nostro tessuto sociale. Ripristinare una festa nazionale legata a una figura religiosa comporta inevitabilmente questioni identitarie: si potrà obiettare che si favorisce in qualche misura una visione culturale confessionale nel contesto civile.
D’altro canto, i promotori sostengono che San Francesco possa incarnare valori “trasversali”, non esclusivamente confessionali, vista la sua importanza storica, culturale e simbolica anche per i non credenti.
In contesti regionali dove la presenza culturale religiosa è più debole, potrebbe emergere una tensione: introdurre una festa religiosa come festa nazionale potrebbe essere percepito come un passo verso una “identità culturale imposta”. È un tema delicato che dovrà essere gestito con tatto istituzionale, bilanciando il valore simbolico con il rispetto del pluralismo laico.
È altresì possibile che nascano dibattiti critici su analogie con momenti storici in cui il culto di San Francesco fu politicizzato (ad esempio negli anni del regime fascista, quando si utilizzò la figura di Francesco come simbolo identitario nazionale). Ogni gesto pubblico legato a un Santo — per quanto venerato e rispettato — porta con sé un potenziale di uso simbolico che va monitorato.
Verso il Senato e l’orizzonte dei prossimi anni
L’iter legislativo non è concluso: la proposta — frutto dell’abbinamento delle proposte A.C. 2097 (di Noi Moderati) e A.C. 2231 (di Fratelli d’Italia) — è passata in prima lettura alla Camera e attende il via libera definitivo del Senato. Molti osservatori ritengono che l’approvazione sia probabile, considerando il consenso trasversale riscosso in prima battuta.
Se il Senato approvasse senza modifiche sostanziali, il 4 ottobre sarà automaticamente inserito nella legge che elenca le festività nazionali e avranno efficacia le regole connesse. Ma l’effettività pratica — considerando la caduta in domenica nel 2026 — arriverà solo nel 2027.
Un raggio di sole è sufficiente per spazzare via molte ombre – San Francesco
Nei prossimi mesi, dunque, sarà cruciale seguire le fasi del voto, gli emendamenti eventuali che potrebbero introdurre “clausole salva bilancio” e le posizioni del Governo e delle opposizioni sul costo del provvedimento. Se tutto procederà come previsto, l’Italia si troverà a fare i conti con un giorno festivo “in più” che reca con sé più di una semplice memoria religiosa: porta dentro di sé scelte civiche, simboliche e finanziarie che riflettono il presente e le tensioni del Paese.
[Cover Image – Spezzone del film Chiara – 2022]

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