Teatro come cura
Benessere - Psicologia

Il teatro come cura: superare i traumi e imparare l’assertività grazie alla drammatizzazione terapeutica

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Le tecniche teatrali entrano in terapia come strumento potente per trasformare il dolore in consapevolezza, e i traumi in voce. Dal role playing alla sedia vuota, il palcoscenico diventa uno spazio sicuro per riscrivere la propria storia interiore

C’è un palcoscenico in ognuno di noi, spesso nascosto, silenzioso, pieno di parole non dette e atti mai andati in scena. Un luogo interno dove vivono traumi, emozioni bloccate, rabbie mai espresse, ma anche sogni, intuizioni e versioni più autentiche di noi stessi. In questo spazio, il teatro può diventare una forma di cura.

Il teatro terapeutico non è uno spettacolo, né richiede doti da attore. È uno strumento psicologico potente che permette di rielaborare esperienze difficili, allenare l’assertività e imparare ad abitare i propri confini. Il corpo e la voce diventano veicoli per portare in superficie ciò che spesso la sola parola non riesce a esprimere.

Anche nelle terapie di orientamento cognitivo-comportamentale (TCC), alcune tecniche teatrali vengono integrate per facilitare la crescita personale e la guarigione. Con risultati evidenti.

Il teatro in terapia: non per fingere, ma per sentire

Nel teatro terapeutico non si recita per fingere, ma per dare forma a ciò che è informe nella propria identità. Quando si è vissuto un trauma, soprattutto da piccoli ma anche da adulti, in molti casi manca il linguaggio per raccontarlo. La scena allora può diventare uno spazio protetto in cui rivivere quel dolore, ma con una nuova consapevolezza e con un terapeuta che guida il processo.

Attraverso la drammatizzazione, ad esempio, è possibile mettere in scena un evento difficile del passato e modificarne il corso, lavorando simbolicamente sul senso di impotenza o vergogna che ancora ci lega a quel ricordo.

Il role playing: allenare nuovi comportamenti

Una tecnica centrale in questo approccio è il role playing (gioco di ruolo), molto usata anche nella Terapia Cognitivo-Comportamentale classica. Consiste nell’interpretare ruoli in situazioni concrete per:

  • prepararsi a gestire momenti emotivamente intensi
  • affrontare conversazioni difficili
  • imparare a dire di no, a porre limiti o confini marcati, a esprimere bisogni senza aggressività né passività.

Chi fatica ad affermare sé stesso può, ad esempio, esercitarsi nel ruolo di chi parla con un genitore critico, un capo invadente o un partner manipolativo. In questo modo, il corpo apprende un nuovo linguaggio, e la mente si abitua a pensare e sentire in modo più funzionale.

La “sedia vuota” e l’immaginazione guidata: dialogare con le parti interne

In alcune forme più esperienziali di TCC, come la Terapia dello Schema o l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy), si utilizzano strumenti che attingono al teatro simbolico e alla visualizzazione.

Una delle tecniche più toccanti è quella della sedia vuota: si parla a una sedia immaginando che vi sia seduta una persona significativa (un genitore, un ex, un persecutore) oppure una parte di sé (la bambina ferita, il Sé critico, il Sé assertivo). Questo “dialogo scenico” permette di portare fuori emozioni represse, prendere le distanze da pensieri tossici e riprendere potere nei confronti di ciò che ci ha ferito.

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Anche le tecniche di immaginazione guidata funzionano come un piccolo teatro mentale: si rivivono momenti del passato o si immaginano scenari futuri, guidati dalla voce del terapeuta, per riscrivere la narrazione interiore e attivare risorse ancora dormienti.

L’assertività come riscatto emotivo

Molte persone che hanno subito traumi – soprattutto legati alla sfera dell’abbandono, dell’umiliazione o della svalutazione – tendono a reprimere la propria voce. Lavorare teatralmente su questo, anche in contesti di gruppo, permette di ritrovare forza, tono, direzione.

Essere assertivi non significa essere aggressivi: significa riconoscere il proprio diritto di esistere e di scegliere, con rispetto per sé e per l’altro. Il teatro terapeutico aiuta proprio a raggiungere questo obiettivo: allenare la parola, riconoscere le emozioni, portare in scena sé stessi senza alcuna censura o castrazione.

Quando si guarisce, la scena cambia

Il teatro, inteso come strumento terapeutico è un pilastro del processo trasformativo. Quando il dolore trova finalmente voce, cambia anche la sceneggiatura interna con cui affrontiamo i rapporti pubblici e privati.

Cambiano i copioni relazionali, si riscrivono i ruoli, si rompono le maschere. Spesso, proprio lì dove prima c’era trauma, ora c’è narrazione, consapevolezza, e libertà.

Come diceva Shakespeare: “Tutto il mondo è un palcoscenico, e uomini e donne non sono che attori.” Ma nella terapia, finalmente, scegliamo noi il copione.

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