Quali componenti determinano il valore della smart car?
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Veicoli connessi: quali componenti determinano il valore delle smart car?

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Nel mondo della mobilità intelligente, i veicoli connessi non sono più una promessa futuribile, ma stanno ridefinendo il concetto stesso di automobile. Quali sono i fattori – tecnologici, infrastrutturali, commerciali – che ne determinano il valore reale? Un viaggio dentro i componenti critici della smart car

Negli ultimi anni, la vettura ha iniziato a trasformarsi da semplice mezzo di trasporto a un vero e proprio dispositivo mobile, connesso in tempo reale alla rete, ad altre auto, alle infrastrutture urbane. Come ricorda il Connected Vehicle & Mobility Observatory del Politecnico di Milano, in Italia cresce l’attenzione sulle tecnologie “smart” applicate alla mobilità, con analisi che valutano sia la diffusione degli equipaggiamenti sia i nuovi modelli di business.

Questa evoluzione porta inevitabilmente alla domanda: quali sono i componenti che determinano il valore di una smart car? E con valore intendiamo non solo il prezzo di acquisto, ma la capacità di generare benefici – per il guidatore, per il produttore, per la città – e di accrescere la “vita utile” dell’auto stessa.

Come diceva Heraclitus già molti secoli fa, «panta rhei» — tutto scorre, nulla resta immobile. L’auto connessa è la manifestazione moderna di quel flusso: non è più solo statica, ma evolve, si aggiorna, interagisce.

Connettività e sensori: il primo pilastro

Il primo componente che incide sul valore di una smart car è sicuramente la connettività e l’insieme di sensori e attuatori che permettono di raccogliere dati e reagire all’ambiente. I veicoli connessi integrano telegestione, telematica, comunicazione veicolo–veicolo e veicolo-infrastruttura (V2V, V2I) e più in generale V2X.

Per esempio, il modulo di controllo TCU (Telematic Control Unit) consente di collegare l’auto alla rete e di abilitare servizi esterni. Questo livello tecnologico aumenta il valore percepito perché abilita: aggiornamenti software over-the-air (OTA), diagnostica remota, assistenza proattiva, guida assistita. Come scrive Forvia, «con la diffusione degli aggiornamenti OTA, possiamo prevedere nuovi servizi e funzioni che entrano nell’auto via software – ciò ha un impatto positivo diretto sul valore del veicolo».

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In termini metaforici: se un’auto tradizionale è una sedia e un volante, la smart car è un “nodo” all’interno di un sistema, che dialoga con tutto il resto.

Software, ecosistema e servizi: il secondo pilastro

Accanto all’hardware, un veicolo connesso acquista valore grazie al software, all’ecosistema di servizi digitali e all’interazione con l’utente e la città. Il valore non è più solo nella meccanica, ma nella capacità della vettura di integrarsi in un flusso digitale continuo.

La piattaforma software, la gestione dei dati, l’interfaccia utente – questi elementi stanno diventando centrali. Come viene sottolineato nelle ricerche: «l’industria automobilistica non pensa più le tecnologie indipendenti ma come sistemi completi di componenti dove elettronica e software sono al centro».

In questo senso, il pensiero dell’Marshall McLuhan – «il medium è il messaggio» – potrebbe adattarsi alla smart mobility: il “mezzo” (la vettura connessa) diventa esso stesso parte del messaggio (la mobilità come servizio). Il valore cresce se l’utente può usufruire di servizi personalizzati (noleggio, car-sharing, pagamento integrato, aggiornamenti) all’interno della stessa auto, e se il produttore può monetizzare attraverso nuovi modelli di business, come l’abbonamento software o la vendita di dati.

Sicurezza, privacy e interoperabilità: il terzo pilastro

Un’auto connessa ha potenzialità enormi, ma anche rischi elevati. I componenti che garantiscono sicurezza, privacy dei dati e interoperabilità con infrastrutture e altri veicoli sono fondamentali per il valore reale. Senza questi, l’innovazione rischia di restare “bella da guardare” ma fragile.

La letteratura tecnica segnala che l’ampia superficie di attacco dei veicoli connessi richiede controlli rigorosi. Un documento accademico evidenzia come i veicoli dotati di sistemi interni ed esterni (rete CAN, sensori, V2X) siano vulnerabili a attacchi se non sono protetti adeguatamente.

Inoltre, la standardizzazione e l’interoperabilità – ad esempio delle tecnologie C-V2X (Cellular Vehicle-to-Everything) – diventano componenti essenziali per consentire l’integrazione nel sistema urbano.

In quest’ottica, il filosofo della tecnologia Martin Heidegger ci suggerirebbe che non basta avere “strumenti” nuovi, ma occorre riflettere sul modo in cui essi si integrano nel nostro mondo. Una smart car che non è sicura o che non rispetta la privacy può perdere parte del suo valore reale.

Infrastruttura e dati: il quarto pilastro

Non è solo l’auto a determinare il valore: l’infrastruttura urbana, la rete di comunicazione, la capacità di elaborazione dati e l’integrazione con la città fanno anch’essi la differenza. Un veicolo connesso opera meglio se inserito in un contesto che lo valorizza.

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Secondo l’e-book dell’OCTO Telematics, la mobilità intelligente è guidata dall’integrazione di tecnologie, persone e luoghi, e richiede piattaforme dati, partner, regolamentazione, e una forte cooperazione tra stakeholder pubblici e privati. In pratica, l’auto può comunicare con semafori, parcheggi intelligenti, rete elettrica (Vehicle-to-Grid, V2G) e infrastrutture di città “smart”. Una tale interazione aumenta enormemente il valore percepito e reale del veicolo. Se l’auto resta isolata, il suo potenziale resta parziale.

Verso modelli di business e valore residuo

Il valore di una smart car deriva anche dalla monetizzazione e dal valore residuo che ad essa è attribuito. Se un veicolo rimane “fermo” a livello tecnologico, perde valore più velocemente; se invece è aggiornabile, parte di un ecosistema, capace di generare servizi, il suo valore rimane più elevato.

La trasformazione dell’industria automobilistica verso modelli tipo “car as a service” (CaaS) o “vehicle as a service” (VaaS) lo testimonia: l’auto non è solo proprietà ma servizio.

In questo senso, si riaffaccia il pensiero di Karl Marx: «Il valore è lavoro accumulato», ma nel nostro contesto contemporaneo potremmo dire che il valore è “innovazione accumulata + rete + dati”. Non è solo cosa possiedi, ma cosa puoi fare, quanto puoi aggiornare, quanto puoi partecipare all’ecosistema.

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