Un racconto narrato da un cane che esplora la redenzione in una vita in bilico, tra tra ironia e durezza
Può un cane raccontare meglio degli uomini la nostra fragilità? Con Vita da cani (La Nuova Frontiera Junior, trad. di Lucia Barni, 2024), lo scrittore norvegese Arne Svingen ci invita a guardare la vita attraverso gli occhi di Basse, un bastardino che osserva, fiuta e interpreta le cadute e i tentativi di riscatto del suo padrone Kjell, tossicodipendente alla deriva. Una prospettiva insolita che sorprende e commuove, mettendo in scena un’umanità sgangherata ma non priva di speranza.
Cosa leggerai nell'articolo:
Una storia dura ma necessaria
Il romanzo ci porta nella quotidianità di Kjell, segnato dalla dipendenza, dalle difficoltà economiche e dai rapporti familiari complicati, tra cui quello con il fratellastro tredicenne Gusto.
È proprio attraverso la voce di Basse che entriamo nei momenti più bui e disperati, ma anche nelle piccole possibilità di redenzione che affiorano nonostante tutto.
L’ironia del narratore canino, mai banale, alleggerisce le atmosfere senza togliere spessore alla gravità dei temi trattati.
La forza del punto di vista canino
Affidare la narrazione a un cane non è un gioco stilistico, ma una scelta che amplifica la capacità del romanzo di colpire il lettore. Basse non giudica, osserva con istinto, coglie emozioni e debolezze senza sovrastrutture, restituendo così una verità che spesso gli stessi esseri umani faticano a vedere.
È un occhio esterno e insieme intimo, capace di dare voce a sentimenti che normalmente restano nascosti.
Tra ombre e spiragli di luce
Vita da cani non edulcora nulla: droga, violenza e malattia sono parte integrante della storia. Eppure la scrittura di Svingen mantiene un equilibrio sorprendente tra durezza e leggerezza.
Lo stile asciutto e diretto riesce a restituire il dolore senza renderlo insopportabile, mentre i legami di affetto – tra fratelli, tra uomo e animale – lasciano filtrare squarci di luce, evitando che la narrazione scivoli nella disperazione.
Pregi e riserve
Il maggior pregio del romanzo risiede nell’originalità del narratore: un cane che diventa specchio delle miserie e delle speranze umane. La scrittura, secca ed empatica al tempo stesso, evita facili sentimentalismi e mantiene il lettore in costante tensione emotiva.
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Tuttavia, non mancano alcune possibili riserve: chi preferisce un realismo stretto potrebbe trovare poco credibile la capacità di un cane di elaborare e commentare dinamiche così complesse.
Inoltre, i passaggi più duri, legati alla tossicodipendenza e alla malattia, potrebbero urtare lettori particolarmente sensibili. Ma anche questi elementi fanno parte del coraggio narrativo di Svingen, che sceglie di non edulcorare la realtà.
Un romanzo che resta dentro
Vita da cani è un libro che lascia il segno, capace di parlare tanto agli adolescenti quanto agli adulti. La sua originalità, unita alla profondità emotiva e alla delicatezza del punto di vista, lo rende una lettura intensa e preziosa.
Non è solo una storia di degrado, ma anche di affetto, resilienza e possibilità di cambiamento.

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