Una generazione in cerca di ascolto autentico si rivolge all’IA per colmare un vuoto emotivo che gli adulti non riescono più a riempire. Tra bisogno di presenza, fragilità non accolte e un mondo digitale che amplifica il confronto sociale, i giovani chiedono meno giudizi e più comprensione
Negli ultimi anni, gli adolescenti italiani stanno mostrando un disagio emotivo profondo, spesso invisibile agli occhi di alcuni adulti. Non si tratta semplicemente di una difficoltà legata all’età, ma di un senso di isolamento relazionale che cresce parallelamente all’aumento della tecnologia nelle loro vite.
Le nuove generazioni non chiedono meno digitale, chiedono più adulti presenti, più ascolto, più calore. È un messaggio che arriva con forza dai dati dell’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo (Di.Te.) e da Skuola.net, diffusi in occasione della 9ª Giornata Nazionale sulle Dipendenze Tecnologiche e Cyberbullismo, ma che trova conferma anche nella letteratura psicologica internazionale.
Secondo lo State of the World’s Children 2021 dell’UNICEF, quasi un adolescente su cinque convive con sintomi di disagio emotivo che non trova spazio per essere raccontato all’interno della famiglia. Questa distanza affettiva crea una crepa che, giorno dopo giorno, diventa spaccatura.
Cosa leggerai nell'articolo:
La famiglia come luogo in cui non ci si sente visti
Più di sette ragazzi su dieci dichiarano di desiderare un ascolto reale, capace di accogliere senza giudicare. Molti affermano di non trovare nella vita offline lo spazio sicuro in cui esprimere emozioni, paure e fragilità. La famiglia, teoricamente il primo luogo della cura, diventa spesso una realtà percepita come distante o centrata sul controllo piuttosto che sulla presenza emotiva.
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È come se gli adolescenti chiedessero agli adulti meno interrogatori e più abbracci invisibili; meno “cosa hai fatto?” e più “come stai davvero?”. Questa mancanza di accoglienza rende complicato parlare faccia a faccia: quasi sei ragazzi su dieci ammettono di avere difficoltà a esprimere le proprie emozioni di persona, come se la sincerità affettiva fosse diventata un rischio troppo alto da correre.
In un contesto familiare poco accogliente, il mondo digitale assume un peso ancora maggiore. I social network, già da tempo associati a un incremento dell’ansia e dell’autocritica negli adolescenti, diventano un amplificatore del senso di insufficienza. Il 68% afferma che il giudizio degli altri influenza profondamente la percezione di sé.
Il confronto continuo con vite apparentemente perfette alimenta la sensazione di non essere abbastanza e spinge oltre la metà dei giovani a credere che gli altri vivano meglio, siano più felici, più amati. È la sindrome del “non sono mai all’altezza”, un effetto ampiamente descritto anche dalla American Psychological Association, secondo cui l’uso intensivo dei social può aumentare sintomi di depressione e sentimenti di esclusione sociale.
L’Intelligenza Artificiale come nuovo spazio emotivo
In questo quadro, l’Intelligenza Artificiale non entra come un intruso, ma come un rifugio. Quasi un adolescente su due ha parlato con un chatbot delle proprie emozioni, e uno su dieci lo fa regolarmente. L’IA diventa un interlocutore percepito come non giudicante, paziente, disponibile.
I ragazzi non cercano nell’algoritmo una soluzione magica, ma un luogo in cui sentirsi meno vulnerabili. Se un adulto può criticare, fraintendere o minimizzare, l’IA sembra offrire uno spazio neutro e rispettoso. Due terzi degli intervistati dicono di sentirsi ascoltati senza giudizio, e molti parlano esplicitamente di una sensazione di comprensione.
È un dato che deve far riflettere, non perché sia sbagliato che i ragazzi usino l’IA come supporto, ma perché rivela un vuoto relazionale profondo.
Il desiderio di tornare a una dimensione più autentica
Eppure i giovani non vogliono essere figli del digitale. Lo dimostra il fatto che il 59% starebbe meglio se i social scomparissero di colpo. Non cercano un mondo di schermi, cercano una realtà in cui potersi mostrare senza sentirsi valutati. La tecnologia diventa così uno specchio del loro bisogno di autenticità, non il motore del disagio.
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Se potessero scegliere, gli adolescenti rinuncerebbero volentieri alla corsa al consenso e ritornerebbero a una dimensione più umana, più lenta, più rassicurante. Ciò che manca non è un’educazione al digitale, ma una relazione analogica solida, fatta di presenza e non di performance.
Gli adulti devono tornare a essere rifugio, non fonte di ansia
Gli esperti lo ribadiscono: il problema non è la tecnologia, è la solitudine. Un adolescente che parla all’IA non sta scegliendo un computer al posto di una persona, sta scegliendo il solo spazio in cui non si sente giudicato.
Come ricorda Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net, i giovani non chiedono meno digitale, ma un digitale che non li lasci soli. Chiedono adulti capaci di ascoltare, di accogliere, di restare. La responsabilità non è degli smartphone, ma di un mondo adulto che ha smesso di essere porto sicuro.
Restituire agli adolescenti una relazione solida e comprensiva significa non lasciare che la loro intimità emotiva venga affidata unicamente agli algoritmi. Non perché questi siano pericolosi, ma perché nessuna tecnologia può sostituire l’empatia di un essere umano.

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