Che cosa significa la parola “diritto”
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Che cosa significa la parola “diritto”

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Dalle radici latine fino al pensiero moderno, il concetto di diritto ha modellato la convivenza umana e la ricerca della giustizia. Un viaggio tra filosofia, storia e senso civico

La parola diritto deriva dal latino directum, che significa “ciò che è retto”, “ciò che non devia”. In origine, il termine indicava la linea retta, il cammino giusto da seguire. Con il tempo, questo significato si è esteso fino a comprendere l’idea di giustizia, ordine e regola di comportamento.

Il diritto, dunque, non è solo un insieme di norme scritte: è una forma di orientamento morale e sociale che guida l’uomo nella convivenza civile. Come affermava Cicerone, uno dei più grandi giuristi e filosofi romani, “Il diritto non si fonda sulle opinioni, ma sulla natura stessa delle cose”.

In questa prospettiva, il diritto diventa un linguaggio universale che esprime l’esigenza dell’essere umano di vivere in armonia con sé stesso e con gli altri, riconoscendo limiti e responsabilità comuni.

Il diritto nell’antichità

Già nelle civiltà più antiche, il diritto aveva una funzione essenziale: mantenere l’ordine e garantire la coesione della comunità. In Mesopotamia, ad esempio, il Codice di Hammurabi (XVIII secolo a.C.) rappresenta una delle prime testimonianze scritte di norme giuridiche. La famosa iscrizione su pietra stabiliva pene e compensazioni, ma sanciva anche un principio di uguaglianza proporzionale: “occhio per occhio, dente per dente”.

Nell’antica Grecia, Socrate e Platone considerarono il diritto come un riflesso della giustizia universale. Platone, nella Repubblica, sosteneva che le leggi dovessero servire a educare i cittadini al bene comune.

A Roma, il diritto divenne un’arte e una scienza. Ulpiano, giurista del III secolo d.C., lo definì con parole destinate a restare celebri: “Ius est ars boni et aequi” — “Il diritto è l’arte del bene e dell’equo”. Da qui nasce la distinzione tra ius naturale (diritto naturale, fondato sulla ragione) e ius civile (diritto dei cittadini).

Questo approccio romano influenzerà profondamente tutto il pensiero giuridico occidentale, fino ai codici moderni.

Perché esistono regole che tutti devono osservare

Le regole esistono perché senza di esse la libertà si trasformerebbe in caos. Ogni società, per sopravvivere, ha bisogno di un sistema condiviso di limiti e diritti che bilanci l’interesse individuale con quello collettivo.

Come scrisse Immanuel Kant, “La libertà di ognuno deve poter coesistere con la libertà di tutti secondo una legge universale”. In altre parole, il diritto non limita la libertà: la rende possibile.

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Le leggi civili e morali hanno quindi una duplice funzione: proteggere e responsabilizzare. Proteggono l’individuo dagli abusi e, al tempo stesso, ricordano che ogni azione ha un impatto sulla comunità. Questa consapevolezza è alla base del concetto di cittadinanza e di giustizia sociale.

Diritto e giustizia: un equilibrio fragile

Nel corso dei secoli, filosofi e giuristi si sono interrogati sul rapporto tra diritto e giustizia. Aristotele distingueva tra la “giustizia legale”, che si conforma alle leggi scritte, e la “giustizia naturale”, che trascende ogni norma. Quando il diritto si allontana dal principio di equità, smette di essere giusto, diventando puro potere.

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Socrate, che accettò la morte pur di non tradire la legge ateniese, è il simbolo estremo del rispetto per l’ordine civile, ma anche del conflitto tra legge e coscienza. La sua vicenda ci ricorda che il diritto, per essere autentico, deve evolvere insieme ai valori umani e alla ricerca della verità.

Il diritto come strumento di civiltà

Il diritto non è solo un sistema di norme: è un atto di fiducia reciproca, un patto che permette alla società di vivere in equilibrio. È, in fondo, la forma più alta di cooperazione umana.

Come scriveva Montesquieu, “La libertà è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono”. In questa definizione si racchiude il senso profondo del vivere civile: essere liberi non significa agire senza limiti, ma riconoscere nei limiti stessi la condizione della libertà.

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